Giuseppe Silvi
di Giuseppe Silvi
Maestro di difesa contro le arti oscure. Inizia ad udire in età prenatale. Ascolta dall'età di 27 anni ma punta con rispetto a sentire.

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Questo testo torna dal passato, pubblicato il cinque luglio duemiladiciassette.

Come si può rimanere pessimisti?
Con la prospettiva.

Caserta, 5 luglio 2017.

Ma il Premio delle Arti per la categoria Musica Elettronica non si svolge ad Avellino?

Fammi andare avanti.

Ok!

Lungo la tratta di ritorno di un viaggio ottimista, di musica e prospettive.
Si parte il lunedì mattina, con l’estremo ritardo che non mette di cattivo umore ma aumenta di sicuro l’adrenalina. La macchina è carica come un uovo, espressione che fa pensare ad un riempimento omogeneo mentre dai vetri si intravedono piramidi egizie e neri legami tra estremi maschi e femmine. È un viaggio che si preannuncia non rimborsato perché sì, si sta viaggiando per conto del Conservatorio [Santa Cecilia nda] per partecipare ad un concorso organizzato dal Ministero, ma questi non prevedono che ti porti una macchina di strumenti su mezzo proprio ma su un mezzo pubblico. Tipo treno, dicono. T’immagini tu la piramide di Cheope portata su un treno? E non importa che il treno, per due, costi più del doppio del viaggio che in macchina i due condividerebbero, non sarà certo l’investire sulla nostra missione musicale che ci farà perdere l’ottimismo.

Si parte per prender parte e partecipare, convinti che non si parte per vincere, con un brano, rito, celebrato da un prete soprano in una chiesa invisibile tra piramidi egizie. Si parte per per portar l’arte tra l’a(l)rti.

Si arriva in un tempo piccolo, reso denso dalle discussioni sulla musica che i due intraprendono senza nulla prendere. Discussioni a volte tristi sullo stato dell’arte in uno stato che non ha bisogno d’arti perché non ha intenzione di camminare, né di abbracciare. Seduto, non ha bisogno d’arti ma solo di chiappe. Ma non saranno certo le chiappe d’Italia a farci perdere l’ottimismo, perché in queste rapide discussioni ci ricordiamo a vicenda che siamo uomini di prospettiva.

Si arriva in un tempo piccolo al Conservatorio di Avellino. Ci dicono che si, possiamo scaricare, ma non possiamo montare durante le prove degli altri. Monteremo alle 23:00, dicono. No, nemmeno l’orario da buco nero portafortuna romanesco può toglierci prospettiva. Potremo così addirittura sentire un po’ di musica, un seminario ed un concerto. Non si nutre di questo la prospettiva?

C’è Dan, il chierichetto, nella sua forma smagliante ad aspettarci in ciabattine al BB. Oh quanto ti innalzano gli amici quando con loro condividi l’arte, o quanta prospettiva si aggiunge quando l’orizzonte si abbassa.

Ore 19:00. La semina c’è ma è fatta di gesti vuoti. Non cadono semi ma biglietti da visita, nello stile ammericano che a Roma trovi solo al Centro della borghesità. Si arriva a definire che l’arte è un lavoro nel primo seminario di un Premio delle Arti, classe Musica Elettronica e Nuove Tecnologie, perché se il Tate ti commissiona una cosa tu la devi fare. Capito giovane studente di Musica Elettronica e Nuove Tecnologie, fa attenzione alle proposte del Tate, sia mai te ne interessasse una.

Non si può dire certo che da quel seminario non ci siamo portati via suggestioni che si attaccheranno alla coscienza come cozze sarde e si alimenteranno del nostro inappropriato disappunto. Ma questo, no, non ha tolto orizzonte alla nostra prospettiva, non alle 20:50 perché:
a) dobbiamo ancora mangiare
b) dobbiamo ancora montare gli strumenti.

La serata va avanti finché tutti e due i punti del precedente elenco vengono esauriti. E non parlerò di musica, perché non c’è stata. Sì, siamo stati al primo concerto, ma tra stare ed essere c’è di mezzo l’arte. E al primo concerto (che era il secondo in cartellone. nda) questa non si è presentata. Ma non fu questo… no.

Notte.
Giorno.

In un’ora si montano le piramidi e definisce la chiesa. In anticipo sul rito ci si può dedicare a lucidare l’argenteria. Un tempo ritrovato che alimenta la prospettiva. La prova va, il rito spacca. Il concerto inizia ma l’arco del tempo si interrompe bruscamente a π/2, quando alla fine del rito un’esplosione distrugge la chiesa e tutti i fedeli al suo interno. Tre o quattro anime in tutto.
La polvere cade ancora quando i primi si rialzano storditi.
Le orecchie fischiano ma si guardano e sorridono perché hanno prospettiva.

Le esplosioni si susseguono. A volte hanno un ritmo regolare, accade quando per andare in guerra recluti personale dando loro la prospettiva di rimanere loro stessi. Si susseguono le esplosioni per impedirti di rialzarti. Cambia l’aereo, cambia il pilota non cambia la bomba che esplode proprio li nel punto del tempo dove l’avrebbe piazzata il precedente.

Qualche passante fa la propria donazione, due spicci di comprensione e dialettica per la ricostruzione della chiesa, dicono. Ma non è con l’elemosina e la speranza che si allunga il collo alla prospettiva.

Si mangia tutti insieme. Purtoppo. Ma poi per fortuna. Le brutte persone non tolgono prospettiva, le belle l’allungano. Negli occhi la vedi e non c’è bisogno di dire altro.

La musica acusmatica ha un grande problema. Si preparava in studio, una volta. Si prepara a casa, oggi. E questa musica acusmatica fatta in casa ha dei problemi. Non possiede più il tempo della ricerca, il tempo dell’idea che si sviluppa in suono e torna idea e torna suono. In casa procedi per segmenti, tra la cucina ed il cesso. Tra il letto ed il bidè. Li dove sciacqui l’interno coscia puoi ancora pensare di mettere una mano sul culo ed una sul trackpad e muovere qualcosa. Qualcosa accadrà. Forse un’altra esplosione. Tanto lo farai in cuffia ed in entrambi i casi sarà una percezione parziale.

Purtoppo la sfida tra Autobot e Decepticon va avanti, il mondo è in pericolo e solo uno studente di Frosinone potrà salvarlo. Per questo ci decidiamo di preferire l’ultima cena all’ultimo concerto. A pancia piena come un uovo ci mettiamo in attesa delle parole che potrebbero piegare la nostra prospettiva. Ne siamo consapevoli, come detto sopra, da essa siamo illuminati.

Arrivano le voci.
Le parole prendon p’arte tra le facce desolate.
Come accade in questi contesti, o in questi contest, pochi sorridono, molti, molto meno.

L’epilogo di questa storia è ancora lontano, ma non lo sapevamo. Perché un conto è rendersi conto che al premio delle arti non si concorre portando un lavoro d’arte ma un lavoro di design, che non si è giudicati in funzione di un’analisi del prodotto in relazione al suo processo creativo che in un contesto artistico potrebbe anche far uso di elementi poetici e poietici inauditi, ma che si viene giudicati solo per l’ascolto nel tempo che gira, se arriva qualcosa al primo colpo, allora si va avanti. Anche al Premio delle Arti.
Un conto è rendersi conto di tutte queste enormità. Un conto è prevedere il futuro.

Un futuro fatto di una macchina che si ferma, lungo il ritorno, carica come un uovo, lungo l’autostrada, poco dopo Avellino ma poco prima di Caserta. Ed in quel futuro doverla caricare su un carro attrezzi e trasportarla a Caserta Nord, dove verrà scaricata, ancora carica come un uovo. E in futuro ancora successivo dover tornare a casa in treno regionale perché tutti gli altri sarebbero stati fuori budget (ma forse rimborsati, questi sì!). E in un futuro un passo dopo dover tornare a prenderla con un altro carro attrezzi il giorno dopo, per riportarla in salvo, ancora carica come un uovo, fino a casa, finalmente, dove potrà essere svuotata ed operata in santa pace.
In effetti quest’ultima frase è l’unica di finzione di tutto il racconto, perché sono le 21:31 dello stesso giorno, 5 luglio 2017 e sto prendendo ancora l’ultimo treno, quello che da Roma porta a casa. Solo domattina prenderò di nuovo il carro attrezzi e tornerò a salvare la mia macchina e soprattutto la mia strumentazione e tutto sarà andato bene. Lo so perché anche adesso che so cos’è un premio delle arti, so che finché avrò le mie arti potrò camminare con prospettiva.

ai marco
agli uomini di prospettiva

.G

eccheccazz!