Giuseppe Silvi
di Giuseppe Silvi
Maestro di difesa contro le arti oscure. Inizia ad udire in età prenatale. Ascolta dall'età di 27 anni ma punta con rispetto a sentire.

Categorie

  • Pozioni

Tags

  • Libri
  • Parole

Sono molto legato al libro il Suono Virtuale di Bianchini e Cipriani. Un po’ perché CSound rimane un software unico, bellissimo quanto radicato nella storia della computer music, un po’ perché il mio primo incontro con il testo risale ormai a ventitre anni fa. Oggi rischia di essere uno di quei testi che, rileggendolo, annoterei tipo principe mezzosangue, a partire dal titolo: affascinante quanto sbagliato, il Suono Virtuale tutto è tranne quello di cui il testo narra.

Questo racconto scavalca il millennio, approda al 1999, quinto anno di liceo. Non racconto tutto tutto, stile goonies, mi limito a dire che fin dal principio ero innamorato di Alessandra, prof di lettere del biennio. Un amore che si nutriva di scambi di libri e chiacchierate letterarie alla pari, per il pari che un adolescente può riconoscere negli occhioni di una donna che dona del tempo ad un giovane alieno. Ero l’unico della classe che viveva il lusso sfrenato di quel rapporto incardinato sulla passione condivisa per la lettura che si produsse oltre i due anni di biennio in cui fu la mia prof di lettere. Fatto sta che al quinto anno, in una di quelle meravigliose chiacchierate mi chiese come intendi fare la tesina interdisciplinare? Cioè questo è quello che io ora ricordo. O credo di ricordare. Qualcosa mi chiese. Il mio futuro era già interdisciplinare nella maniera più musicale possibile. Puntavo a studiare musica elettronica al DAMS di Bologna. Le raccontai. Le raccontai che puntavo a collegare la Arendt con Wagner con una simulazione del suono sulla luna, e altro. Ovviamente lei si appassionò al mio racconto. Mi disse che un suo cugino si occupava di musica elettronica e che poteva chiedergli qualche appunto o riferimento bibliografico. Mi portò di più. Mi portò una bozza di una parte di un libro che doveva essere ancora pubblicato. Sulla bozza c’era scritto: il Suono Virtuale di Riccardo Bianchini e Alessandro Cipriani: suo cugino.

La scrittura della tesina fu un’esperienza molto intensa, che ricordo con molta tenerezza. Preparai l’orale andando a studiare di tanto in tanto a Castel Gandolfo, lungo lago. Arrivai all’esame molto motivato e preparato. Parlai per venti minuti filati, nemmeno una domanda dalla commissione. “Li hai stesi” così mi accolse lei con un sorriso alla fine, emozionata quanto me. Era sorpresa: non ero mai stato un grande parlatore. Non ero mai stato così al centro dell’attenzione. Non ero mai stato, prima di quel momento.

Oggi il mio Suono Virtuale, preso ai primi anni del DAMS sì, ma di Tor Vergata dove proprio quell’anno si apriva il corso di Musica Elettronica di Giorgio Nottoli, conserva ancora i post-it a marcare argomenti. All’epoca studiavo così. Amai Giorgio fin dal primo incontro.

Oggi il mio Suono Virtuale mi fa sorridere, perché il titolo, molto azzeccato dal punto di vista del marketing, è sbagliato. Oggi sorrido per molti motivi. Sorrido spesso. L’edizione ConTempo, altro nome azzeccato, è solo marketing. Oggi lo so. Ma questo sapere è costato un ConTempo.

Oggi so che Sound Design e Musica Elettronica è il libro del Signore Oscuro. Dentro ci sono le peggiori maledizioni senza perdono, recitate come fosse un “libro di lingua”. Parole degli autori. Ma non è questo il punto. Il punto è che anche questo titolo è sbagliato. Il titolo corretto sarebbe stato Sound Design o Musica Elettronica. Eticamente corretto. Storicamente corretto. Didatticamente corretto. Ma commercialmente sbagliato, motivo per cui tutti i motivi precedenti non fanno argomento. Un libro che avesse fatto chiarezza sulle diverse attitudini, Sound Design da un lato o Musica Elettroninica dall’altro, avrebbe richiesto autori consapevoli della diversità (ma non era il caso specifico: Cipriani e Giri) piuttosto che ansiosi del superamento di quella stucchevole (ma bellissima) piccola fetta di mercato rappresentata dalla sola Scuola di Computer Music a cui si riferiva il Suono Virtuale.

virtüale agg. [dal lat. mediev. (dei filosofi scolastici) virtualis, der. di virtus «virtù; facoltà; potenza»].

La Treccani ci spiega che virtuale in filosofia è sinonimo di potenziale, cioè «esistente in potenza» (contrapp. a attuale, reale, effettivo). Esistere potenzialmente, in potenza in contrapposizione con l’attuale, effettivo, in atto, reale.

Quindi ci riferiamo al virtuale indicando qualcosa che non corrisponde alla realtà: le sue qualità sono più virtuali che reali, diciamo semplicemente apparenti.

E da qui l’errore, superficiale, applicato al concetto di suono virtuale.

PERCHÉ “IL SUONO VIRTUALE?”

Il titolo si riferisce a quella fase un po’ misteriosa della composizione elettroacustica in cui abbiamo creato un suono a partire “dal nulla”, cioè da idee, formule, desideri, metodi, e questo suono non ha ancora fatto il suo ingresso nel mondo fisico: è perciò un suono virtuale.

Il suono virtuale così descritto implica il ragionamento che un suono creato al computer è un suono potenziale, non attuale ed effettivo, non reale.

La computer music quindi non è reale? È una musica virtuale? Non credo.

In teoria dovremmo considerare ogni tipologia di segnale audio, e quindi anche analogico, un segnale analogon del suono, virtuale. Entrambi sono suoni potenziali.

Il pensiero elettronico che porta alla nascita del suono numerico, fatto al calcolatore, ha radici nella creazione di strumenti musicali che accompagna tutta la storia della musica, fisica, analogica e poi digitale. È sulla base di questo ragionamento che sosteniamo l’idea che il computer possa essere tante cose, tra cui uno strumento musicale, perché essenzialmente è uno strumento del pensiero che fornisce già integrati strumenti di produzione, che col pensiero e le mani pieghiamo alla produzione di suoni. Esattamente come per un violino.

Il suono generato al computer non esiste senza la sua conversione elettrica, senza la sua trasduzione elettroacustica. Fino al momento in cui non udiamo la vibrazione acustica, non è un suono, è un segnale. Tutti i segnali in banda audio sono virtualmente suoni. Ma la natura digitale, numerica, del suono al calcolatore, non deve creare ambiguità sul fatto che per l’essere umano la percezione della natura elettroacustica del suono al calcolatore è l’unica possibile, l’unica udibile, quindi reale. Un rumore stocastico, una sintesi concatenativa, solo per citare nomi insignificanti di processi di sintesi digitale, sono per noi suono nella sola realtà fisica imprescindibile dalla generazione numerica al computer. Quella è l’unica realtà in cui identifichiamo quello specifico suono. Non c’è nulla di virtuale, nulla di potenziale, nulla di inattuale.

Il punto ora è cruciale. Perché stabilisce l’inconsistenza del titolo il Suono Virtuale applicato a quei suoni che possono esistere solo se sintetizzati numericamente e lo libera ad un pensiero più profondo sul suono.

il Suono Virtuale dovrebbe essere in realtà il titolo per un manuale di ripresa e registrazione sonora. Noi abbiamo quotidianamente sensazioni uditive provenienti da suoni virtuali: i suoni registrati. La realtà fisica acquisita con strumenti, che seppur altamente raffinati non possono rappresentare il mondo fisico dei suoni, e che riversiamo da più di un secolo su supporti di memorizzazione, è di fatto la nostra attività di realtà virtuale più raffinata ed efficace di cui oggi disponiamo: la registrazione sonora.

La realtà virtuale del suono come simulazione del mondo sonoro fisico è la nostra quotidianità da un tempo molto lungo ed oggi è estremamente raffinata, al punto che non la consideriamo più virtuale. Ma lo è. Una voce registrata e riprodotta dal sistema più complesso che possiamo allestire, tanto in ripresa microfonica quanto in diffusione elettroacustica, non è reale. È più o meno realistica, in potenziale, in virtù, virtuale. Tutta la storia della stereofonia si basa su questo principio, prima Blumlein e poi Gerzon.

Il caro Risset lo spiega benissimo. La registrazione sonora ha condizionato l’intera umanità. Ci ha regalato un prestigioso mondo sonoro virtuale. La discografia è da sempre una forma di realtà virtuale, salvo quando conduce alle nostre orecchie suoni non rubati dal mondo reale. Abbiamo virtualmente ascoltato la Nona comodi sul divano. La Nona in quel caso passa dal tempo allo spazio, il supporto. Nel passaggio perde lo spazio fisico per non ritrovarlo mai più. Durante la riproduzione del supporto ridiamo il tempo, ma non siamo più in grado di ridare al tempo la sua conseguenza spaziale.

Sempre da Treccani, realtà virtuale per Andrea Carobene:

Il fine della realtà virtuale è simulare un ambiente reale per mezzo di tecnologie elettroniche, sino a dare a chi la sperimenta l’impressione di trovarsi realmente immerso in quell’ambiente.

La musica su disco, gli altoparlanti, ecc. Impressioni.

L’impressione di ascoltare la Nona dentro casa è realtà virtuale (sonora).

Turenas, che metaforicamente potremmo definire la Nona della Computer Music, per opera di John Chowning, non è virtuale, per definizione, in quanto digitale, al contrario è un’opera reale, fisica, unica proprio per la sua natura esprimibile all’orecchio solo attraverso la relazione composizione-numero-suono.

È un brano da concerto, quadrifonico. E qui volgiamo al termine. Ascoltare Turenas in sala da concerto è stato identico, in termini di emozione e sensazione, all’ascoltare in sala la Nona. Tuttavia, nell’ascolto domestico, sul divano, tutta la musica da concerto consiste in una deprimente quanto fragile seduta di Realtà di Suono Virtuale.