Giuseppe Silvi
di Giuseppe Silvi
Maestro di difesa contro le arti oscure. Inizia ad udire in età prenatale. Ascolta dall'età di 27 anni ma punta con rispetto a sentire.

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Lettura fantastica agli esiti di un concerto.

perché siete qui?

Non affrettatevi a prenotare una risposta. Non sono interessato alla risposta. Sono interessato alla domanda: perché fate parte di questo momento? Questo è il seme del pensiero: l’impulso.

L’arte è uno strumento di pensiero. Prima ancora che musica, pittura, poesia, prima ancora che tempo, l’arte è pensiero. Non sto parlando del cervello ma della mente, ed è lì che tutte le arti convergono, in un’unica coscienza, che è memoria.

Sviluppando sensi e significati di questa affermazione partirei dall’idea basilare che l’arte non ha una diretta relazione con la bellezza, se non in termini di pensiero. Introduco qui una struttura semplicistica e spazializzata di pensiero che possa essere d’ausilio per le nostre allucinazioni mediante la relazione:

impulso – riflessione – risonanza.

Vi ho accolto con una domanda: perché siete qui?

È il mio contributo impulsivo alla vostra attenzione, la nascita di un pensiero. Un pensiero che poi, subito, si complica in una riflessione intima, un riflettersi del pensiero-impulso nelle pareti della mente e, in cerchi concentrici, fino alle pareti dello spirito. Il momento del rilascio, del desiderio di condividere la riflessione, attraverso la parola: la risonanza. Così entriamo l’un l’altro in relazione, in risonanza, con un impulso che ha attraversato il riverbero della nostra conoscenza, che è memoria, articolando l’altro in una rete di relazioni reciproche.

La bellezza non dovrebbe essere solo impulso. Esiste la bellezza-impulso, zam! ma non è l’unica forma di bellezza. Una bellezza di riflessione è una bellezza della memoria. Mentre l’impulso, zam! è una bellezza dell’attimo presente, la bellezza di riflessione attiva meccanismi che richiedono un tempo di lavoro periferico: pensiero, memoria, cuore, respiro, movimento. È una bellezza che richiede un certo scambio energetico.

Quando partecipo ad un concerto, scelgo il posto dove mettermi in ascolto, mi dedico all’ascolto, partecipo alle eventuali bellezze del momento. Possono accadere lampi, zam! bello! piccoli incanti momentanei. Tuttavia la bellezza di riflessione è indipendente dagli attimi, non ha a che fare con il susseguirsi degli attimi. È libera, errante nei confronti del tempo, in un percorso di scie che conducono a luci per attivare nella memoria la durata, la forma dell’ascoltare: la bellezza della durata.

perché siamo qui?

Siamo qui per la bellezza istantanea? Nessun problema: siamo turisti dell’arte. L’intrattenimento è il nostro tempo. Ma è importante sottolineare che una bellezza istantanea, immediatamente comprensibile al presente è, in realtà, la bellezza di un tempo passato: si riconoscono immediatamente i tratti del bello perché è una bellezza assimilata, nella nostra epoca, dalle precedenti. Quindi un’arte contemporanea di ricerca, sperimentale, che si faccia linguaggio del bello immediatamente comprensibile ad un intero uditorio sarebbe classificabile repertorio post-datato, o datato postumo.

Siamo qui dunque per la bellezza della durata? Siamo esploratori dell’arte e della bellezza. Al pari del musicista, siamo riflessi nel gioco della memoria. Bello! Non è una bellezza dell’esterno immediatamente riconoscibile, ma una bellezza di relazioni intime e personali. Il tempo di interpretazione di questa bellezza non è descrivibile perché agisce plurimo e multidimensionale fuori dalla percezione: è il bello dell’esperienza, è durata. L’arte contemporanea qui rinasce al suo inizio, al suo impulso e vive di vita propria.

Quando partecipo ad un concerto mi siedo, scelgo un luogo d’ascolto, mi metto in ascolto. Al termine del concerto riconosco l’eventualità di un solo epilogo alla grande esperienza: la mia mente è mossa dall’inevitabile voglia di fare musica, di suonare uno strumento, di scrivere, di avere il lusso sfrenato di un riascolto, di condividere pensiero e ascolto. A nutrire i miei istinti è la bellezza risonante. Vado alla vita sì per i colpi di fulmine, per perdermi nei labirinti della durata, ma sono qui, ora, per risuonare.

A prescindere dalle esperienze di istante e durata, la bellezza della risonanza conserva più i tratti della cerimonia, del rito, che dell’opera stessa. È indubbiamente figlia di mamma durata e papà istante, ma è parte, in maniera innata, istintiva, della società e in essa vive.

L’arte della mia società, con la mia attività creativa di pensiero in ascolto, suona riflessa e risonante. Non sono né turista né un esploratore: sono un artefice del futuro.

In fin dei conti, pretendere che un concerto di musica sperimentale, di ricerca, sia bello alla prima interpretazione e al primo ascolto, determina il fallimento stesso della sperimentazione anche solo per il fatto che si è attesa un’opera conforme ad una regola, senza alcuna capacità di ascolto della regola interna all’opera, di cui l’opera è attivazione.

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il qui

Questo parlare arriva risonante dell’esperienza appena conclusa in accademia1. Ho vissuto il termine del percorso, il concerto, come origine, impulso creativo progettato per sette mesi. È chiaro: nessuno desidera partecipare a un brutto concerto quanto nessuno desideri produrlo tale. Ma il successo o meno di un percorso di Alta Formazione Artistica che punta tutto sulla ricerca, sull’invenzione creativa di strumenti nuovi per una musica necessariamente sperimentale, non può dipendere solo ed esclusivamente dalla bellezza (non si può scrivere con un linguaggio del passato per uno strumento del futuro, questo vale tanto per un timpano elettromagnetico quanto per un violino a ponticello mobile).

Cercare la bellezza garantita è rivisitare il passato, non contemporaneo, del repertorio. Siamo così viziati dal repertorio, viviamo così seriamente il passato, che ci sfugge la reale bellezza del partecipare ad un concerto di musica sperimentale: si sta partecipando alla nascita di uno strumento di pensiero collettivo, concepito e gestito per un tempo a noi sconosciuto.

Perdiamo così di vista il ruolo che abbiamo come ascoltatori sia nel processo creativo in atto, sia in quello storico perché perdiamo la capacità di ascoltare il presente contemporaneo, dove il bello, il fatto dall’uomo, è passibile di continui cambiamenti. In un senso ampio, perdiamo la possibilità di vivere il presente.

e lì

Un anno fa2 ci fu un concerto importante: Grisey-Lupone-PMCE al Parco della Musica di Roma. Ci fu un gran parlare del brano di Lupone tra noi, suoi amici, colleghi, studenti, in risonanza. Ci furono giudizi: bellezza sì, no, forse. Ora comprendo che sedersi ad un concerto di quel tipo per avere l’occasione di giudicare il bello è da turisti.

Compositori giudicanti, incapaci di ascoltare la pessima interpretazione di Grisey (repertorio) e, con la stessa incapacità, di articolare il semplice pensiero che una pessima interpretazione possa aver condizionato il primo ascolto dell’opera di Lupone (in prima assoluta) si autodeterminano compositori-turisti, composituristi della musica contemporanea.

Musicisti che si lamentano del fatto che la carta da musica sia arrivata troppo tardi, due giorni prima del concerto!, formano le fila dei musicisti-turisti, musicituristi, della musica contemporanea.

Non voglio dare nulla per scontato: qui si traccia anche la linea sottile che definisce l’interprete piuttosto che l’esecutore che spara a ritmo per uccidere il tempo (ta-ta-ta-ta): che non comprende il tempo in cui lavora quanto il lavoro del suo tempo.

Perché eravamo lì, oggi?

Fu un gran concerto. Me ne andai con il desiderio fisico e mentale di altra musica, nonostante le pessime interpretazioni. Perchè? Perché c’era molto, molto, molto ancora da risolvere, nel futuro.

Se non per questo, perché eravamo lì?

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l’altrove

L’altrove è quel non-luogo dove spedite la musica quando smettete di pensarla suono, di riflettere. Non è il tempo di non sanno quello che fanno ma, alla rovescia, non fanno quello che sanno. Il non sapere quello che si sta facendo può conservare il fascino dell’ignoto, dell’istinto al lavoro, del cercare. Può, è una lettura positiva. Ma quale lettura positiva si potrebbe dare a non fanno quello che sanno?

È accaduto oggi. La musica è stata privata del corpo, con tutti i suoi organi in relazione: il suono, con tutte le sue qualità caratteristiche; ne sono stati presentati solo i nomi (le note) urlati da un necrologio (la partitura) con tante voci (singole) amplificate (mannaggia a voi!). 8 settembre 2022, Parto della Musica, TRavagliato, cesareo, podolico, ovvero con i piedi. È il solito rito religioso molto Battista e per niente evangelista.

Tutto da rifare. Perché non ci basta più suonare con i piedi, lo dovete necessariamente urlare amplificando musica acustica scegliendo una via alternativa a una di quelle possibili inscritte nella fantastica storia dell’elettroacustica.

Sapere. Sapete una marea di cose, ma non le applicate, perché andate all’arte musicale con un andare alienato, tipico, fino a qualche tempo fa, del lavoro salariato. Il musicista non fa il suo lavoro, che saprebbe fare, ma viene applaudito. Vive la scena con stress, fuori luogo. Fisicamente fuori luogo, oltre che mentalmente, in gesti confusi e imprecisi. E non si diverte più. Il salario lo diverte. Il suo ruolo ormai è sapere, non fare, così il pallino smette di essere per diventare, altrove. La predica iniziale, il Battesimo: “il nostro lavoro è bellissimo…”. Quindi lo sai, ne sei consapevole. Lo sai che è un lavoro meraviglioso e importantissimo. Ma silenzio, ti giri di spalle, stacchi un tempo dal tempo e… poi nessuno fa. Haasfaltato il suono dalla sua replica elettrica, si scappa altrove. Non c’è l’interesse di discutere questa problematica che rimane addosso, un’onta, solo a pochi. Non c’è giudizio perché non c’è stata musica. Nessuno ha interpretato e quindi nessuno ha Haascoltato. Fine.

diritto al pensiero

Quell’oggi eravamo tutti in vacanza. La musica contemporanea scritta e vissuta nel linguaggio del bello è del passato, è post-contemporanea e noi non-morti-non-viventi siamo post-contemporanei. Così potremmo dire, come per il Rock e i Nirvana, che la musica contemporanea è morta con Nono ed Evangelisti, da cui non abbiamo imparato nulla e, da lì, regrediamo. Regrediamo come musicisti e persino come ascoltatori.

La ricerca musicale, in quanto disciplina scientifica, può non condurre all’arte. È un processo umano in atto continuo e in quanto tale ha la dignità della scoperta, del genio, dell’errore, del fallimento, senza la necessità della bellezza.

La musica non è solo composizione.
Non è artigianato, non è un mestiere.
La musica è pensiero.

È il nostro recente passato, la mente di Nono presente al 1985, il futuro della sua società che stiamo rendendo inattuale e inattuabile.

Un pensiero che collego alla domanda di Evangelisti

…per quale musica?

E così ci sarebbe da chiedersi per quale musica lavoriamo? Per quale musica ascoltiamo?

Un pensiero antropologico, etico, non estetico. L’estetica è solo nel passato della società, una formalizzazione nella coscienza sociale, una memoria ri-costruita del passato sociale. L’estetica era. Il presente dell’arte è etico, non estetico, antropologico, psicologico, diseducato e disobbediente

[…] è il lavoro spirituale, geistige Arbeit […] sempre proteso al non ancora, che non vuole né può comprendersi alla luce di un Fine, insofferente di ogni determinatezza spaziale e temporale […] Esso però non può non esigere un Diritto nella misura in cui pretende il proprio universale riconoscimento […]

Ho sradicato alcune parole di Cacciari, viziandole ai miei scopi: qual è lo Stato di Diritto del lavoro musicale contemporaneo? Come per la giustizia, giusto o sbagliato, la bellezza non risonante ridurrebbe il diritto ad una forma di contratto sociale: bello o brutto. Piuttosto che estetico, l’universale riconoscimento del lavoro creativo non dovrebbe essere il diritto etico?

Il diritto a un’autonoma mente artistica che traghetti la disciplina dalle mani del singolo contemporaneo al presente sociale della futura umanità. D’altra parte, lavorare per il passato, per il consumo dell’attualmente bello, è capitalismo dell’arte: il turista consuma il lavoro inattuale del musiciturista; incidentalmente questo già coincide con la senile bruttezza descritta ne Il crepuscolo degli idoli, a ribadire che cercare il bello attraverso il linguaggio è già sintomo di esaurimento.

Possiamo cambiare atteggiamento e prospettiva. Si può partire dal comprendere l’importanza che avrebbe il nostro ruolo di ascoltatori nel processo artistico del presente. Un processo che ci renderebbe automaticamente più consapevoli del rischio che corriamo oggi. Un oggi che ci vede senza alcuna paura nei confronti del tempo. Senza segnali di allarme. Senza paura è senza rispetto.

Individuando un artista rivoluzionario dovremmo sobbalzare spaventati dal paradosso temporale in atto: egli si trova esattamente dove dovrebbe essere sul filo temporale che lo conduce alla storia dell’umanità. Filo a cui noi immediatamente, nell’istante in cui lo consideriamo rivoluzionario, non apparteniamo più, ci sottraiamo ponendoci osservatori esterni, turisti in un museo che chiamiamo vita, alienati dal lavoro senza spirito e alieni all’arte. Non individuiamo nell’anomalia un campanello d’allarme. In uno stato di diritto etico, il bello fatto dall’uomo e incomprensibile all’uomo, suonerebbe immediatamente come un allarme sociale.

Con il diritto etico riconosciuto e universale la musica tornerebbe a parlare alla società finalmente messa in condizione di ascoltare il presente in quel frequentare l’origine che contiene sempre in sé il risultato futuro, mai ripetendo l’ascoltabile, ma per rendere ascoltabile.

Una volta raggiunto l’ascolto si scopre un altro mondo, illuminato tanto al futuro inesplorato quanto al passato trattenuto dalla coscienza, udito, ma mai ascoltato con quelle stesse orecchie che l’hanno depositato.

il lavoro del musicista

(in accordo con Paul Eluard)

I

la tensione del legno graffiata in cui
incidere la pietà del polpastrello
i metalli aeriformi e curvilinei in cui
si incuneano le ansie del respiro
l’unghia incastonata nel labbro in cui
l’asperità s’altalena all’asprezza
la materia colpita dagli spasmi in cui
cercare la specie del distinguo
lo scorrere inesorabile del tempio in cui
osserviamo qualcosa da ascoltare

II

siamo venuti a dire il senso dell’aria
tra le sorgenti sconosciute e i familiari cortili
siamo venuti a vedere la forma del tempo
muovendo in parte intimamente le mani
siamo venuti a prendere l’anima allo spazio
affinché il vuoto fosse pieno e il pieno vuoto
inconsapevoli ciascuno di essere
il figlio unico d’un ludico foglio

III

La scena è minima
insieme si arriva
al rigo comune
e poi
al rigo aperto
Insieme si arriva
all’oggetto senza icona
e poi
all’oggetto senza luogo
Cantare senza aver niente da dire
chi potrà rimpoverarcelo.
Nell’armadio i vestiti per le idee
mille e una immemoriali vanità
su cui nessuno avrà mai niente da dire

IV

tasti tasti tasti ovunque
tasti e tasti ancora tasti sol
tanto tasti nient’altro che tasti
la casuale scelta dei colori
a volte basta osservarli due
centosettantatré momenti
d’improcrastinabile silenzio
la razionale scelta dei colori

V

la sensazione di quando arrivi in ritardo
e la tua scusa è fatta d’acqua e sorrisi ma
è convenzionalmente accettata da tutti
la sensazione di essersi persi tenen
dosi sguardo nello sguardo e non sapere
dove sei peró sei lì dove vuoi che sia
la sensazione di inadeguatezza del tuo
corpo sdatto o delle tue parole pronun
ciate circondato di gente e solitudini
tutto finisce nell’immagine quindi
si ferma quando è compreso perfetta
mente mentre in principio era inquieto
sospeso sensibile asperso lo spazio
sensatamente in assenza di senso
il suono ne è sola la sua sensazione

VI

È sempre questione di vento
di barbe di capigliature
questione di amici sinceri
con la febbre che sfugge le cose
Di scelte antiche di giovani sogni
raccolti in incorruttibili ascolti
e il cuore della vita e della morte
i loro segreti sospirati per strada
Una questione di amici sinceri
non è coincidenza se tutto coincide
nel corso di ere coetanee e comuni
la quotidiana creazione di un motivo

VII

La spora il bocciolo il fiore il ciclo
della vita la frequenza con cui si
sfiorisce e sfoggia il trascorrere
del seme la persistenza istantanea
di ciascun profumo la ruota dei petali
in circoncentrici crescendo i colori
che tono su tono mutano dalla luna
al sole le specie innestate il loro
spettro costante e discontinuo
l’aspirazione a stupire le rose per
ascoltare la luce le particelle il cosmo
e gli esseri umani, la loro durata.\

Leonardo ZACCONE

  1. 21 giugno 2022, concerto finale del Corso di Specializzazione in Musica Elettronica presso l’Accademia S. Cecilia di Roma 

  2. 22 novembre 2021