SCHALLFELD ENSEMBLE
flauti Elisa Azzarà
clarinetti Szilàrd Benes
sassofoni Matej Bunderla
pianoforte Maria Flavia Cerrato
violino Lorenzo Derinni
violoncello Myriam García Fidalgo
percussioni Christian Pollheimer
contrabbasso Margarethe Maierhofer-Lischka
direttore Leonhard Garms
Pensieri e Parole
Questa nota è stata scritta in tre tempi:
- impulsivo: qualche parola lanciata nello spazio vuoto durante il concerto e poi le prime riflessioni in treno, nel viaggio di rientro a casa.
- riflessivo: le trame tese dalla percezione hanno stazionato nei pensieri, si sono fuse nei sogni e si sono sciolte tra le parole esistenti. Ho riascoltato e riascoltato e riascoltato.
- compulsivo: un minimo di approfondimento, di ricerca, di curiosià. Il desiderio di sapere tutto di loro come fossero amici di lunga data.
Mentre i musicisti prendevano le loro posizioni, strumenti alla mano, sorrisi al viso, il mio sorriso carico di aspettative ed emozioni si stava lentamente sciogliendo.
Perché il violino si sta sedendo a destra?
Perché mai deve interessarti dove si siede il violino.
Mi interessa e come!
Pausa.
No non posso ingnorare il fatto che il mio cervello ha percepito questa cosa e non ha più smesso di pensarci.
Si è seduto a destra, fattene una ragione. Vedrai che durante il brano farà a cambio con il flauto.
Ma perché, il flauto si è seduto a sinistra?
Si il flauto sta a sinistra.
Oh cazzo!
Vedrai che si sono sbagliati, ora se ne accorgono, si alzano tutti in piedi e si cambiano di posto.
Denovaire: lady macbeth
flauti | sax | clarinetto | contrabbasso | violoncello | violino |
do | baritono | basso | |||
basso | |||||
Il brano comincia. Le posizioni rimangono invariate.
Concentrati sulla musica.
Concentrato sulla musica. Il mio cervello ci prova. Lontano dal successo. Il brano si sviluppa, ci dice poi al termine il direttore,
su due strati, uno improvvisativo e uno scritto
e nonostante le distrazioni (i musicisti che hanno sbagliato a sedersi) il mio cervello aveva percepito questo fare libero ma obbligato, caotico ma lineare. I due strati si incontrano in quelli che sembrano ictus densi e sforzati che scandiscono momentanei equilibri. Questi, oltre che punti di ritrovo per gli strumentisti, fungono anche da appigli temporali per la comprensione del brano da parte degli ascoltatori. O almeno per me. Riesco a seguirlo, rapito da questo doppio fluire del tempo, che torna, ciclicamente, unico.
L’impressione generale del brano è molto positiva. Direi che se non avessero sbagliato a sedersi sarebbe stato un inizio perfetto.
J. M. Staud: Lagrein
violino | pianoforte | clarinetto | violoncello |
Il re di questo secondo brano è il clarinetto. Scrittura e interpretazione qui hanno privilegiato questo strumento. Il clarinetto è rapido e la sua sceneggiatura non prevede antagonisti. La sua esile voce apre il brano ma probabilmente è il trillo glissato che arriva al minuto 6.14 che rimarrà fisso nei miei ricordi di questo concerto come il gesto-serata, simbolo di un tempo infinito di ottima musica.
Lirico e tecnologico, romantico e tecnico. Riascolto la registrazione del concerto e questo brano, che non è il mio preferito della serata, mi impressiona ogni volta.
Un compositore di circa 45 anni, sempre austriaco, che ha un linguaggio musicale che combina tradizione del gesto , cioè un gesto che viene dal romanticismo […] con note e tecniche moderne. Quindi nasce questo dialogo tra un linguaggio moderno ed uno più tradizionale.
Il giovane direttore presenta così il compositore ed il brano conserva queste caratteristiche. Potrei ascoltare l’inizio, il LA dal nulla suonato dal clarinetto, infinite volte ed attendere quel mezzo tono ascendente, rubato, per tornare al LA, altre infinite volte. E forse l’ho fatto. Poi il pianoforte, i glissati del violino e di nuovo il LA.
Il violino è al suo posto! Bene
La sensazione è quella di una lenta esplosione dello spettro. Da un principio, da un nulla, centrato e concentrato, una lenta articolazione di eventi porta ad uno spettro, ad una banda passante ampia quanto quella percepibile. Il mondo sonoro si sposta verso gli estremi e man mano che le altezze si aprono al loro interno si creano spazi sonori vuoti. Raggiunti i limiti spettrali il mondo sonoro si concetra sul successivo bersaglio, il tempo. In questo spazio temporale si discutono maggiormente le due tendenze stilistiche, quella cantata e romantica, quella tecnica, raffinata e moderna. Sapete come si chiude questa parte? Con un vuoto che verrà tagliato in due da un nuovo suono dal nulla del clarinetto. Che canta. Danza sugli spettri degli altri strumenti e poi scompare. Lascia la scena alle corde, ad una pulsazione che diminisce in tutti i suoi parametri, in un evidente gesto di addio.
Andrès Gutiérrez Martinez: IO
violino | cello | piano | cbasso | sax | clarinetto | flauti |
baritono | basso | do | ||||
soprano | basso | |||||
Il Direttore descrive il terzo brano presentando il compositore, uno dei fondatori dell’associazione musicale che tiene in vita l’ensemble, narrandone le sue abitudini elettroacustiche. Questo carica molto le aspettative. O almeno le mie. Ed è un errore da principiante, ne sono consapevole. Lasciare che le aspettative prendano il sopravvento sui pregiudizi è qualcosa che un buon ascoltatore non dovrebbe mai permettere.
È, come tutti i brani della serata, un brano acustico ma la suggestione che vuole lanciarci il direttore è quella di trovare sonorità inusitate e brandelli di un pensiero elettroacustico dietro le attitudini di un ensemble energico e sempre brillante. Niente di tutto ciò. L’unica nota elettrica del brano viene dalle luci sempre accese. Nessuno ha fatto sala questa sera e, purtroppo, l’illuminazione sempre uguale e piatta a se stessa toglie briciole di magia.
Poi c’è un’altra cosa molto importante di questo brano ed è il dialogo tra il caos e l’ordine, che si articola in movimenti estremeamente veloci.
Riascoltando la presentazione del direttore, e riascoltando il brano, e poi di nuovo il direttore, mi accorco che c’è una sua espressione precedentemente ignorata dalla mia percezione:
musica concreta
Eh si, al tempo del riascolto, con la calma della cuffia e del divano, l’estetica acusmatica e concreta del sud america c’è tutta. Non l’elettronica, come l’avevo intesa mentre il direttore parlava, ma la musica concreta, l’evolvere per spire di timbro contrastante e ritmi frenetici, del gna, schhh, bum, traaaaa c’è tutta. In questo Martinez ha fatto un gran lavoro.
intervallo
I musicisti stanno per rientrare, nella prima parte del concerto hanno reso un pubblico estremamente soddisfatto e adrenalinico. Hanno sbagliato solo una volta su tre a sedersi, senza però macchiare con questo il concerto.
G. F. Haas: Tria ex uno
violino | pianoforte | violoncello | clarinetto | flauti | percussioni |
basso | do | ||||
Eb | sol | ||||
Se c’è un brano che deve vincere il premio migliore elettronica della serata è questo di Haas. Qui maestria e consapevolezza emergono fin dall’inizio. Un inizio che mi sfila di bocca un commento immediato: Fico st’inizio.
La citazione e la sua progressiva elaborazione sono un materiale compositivo a me molto caro. Di solito evito di leggere le note di sala prima del brano, sempre per non caricarmi inutilmente d’aspettative. Ma dopo 10 secondi di musica ne sento l’esigenza. Sento materiale che viene dal passato. Voglio sapere che sta succedendo.
Il materiale che si sta trasformando sotto le nostre orecchie vine da una trascrizione di Josquin des Prez.
È plasmare. Un gioco fluido di mutazioni di forma. Un emergere progressivo di nuovi timbri. Un fermare il tempo a colpi ribattuti per poi lasciarlo fluire libero fino alla successiva, lenta, dolce, trattenuta.
Paradossalmente non ho molto da dire.
Il brano più bello della serata.
Intenso. Teso. Raffinato.
Tria ex uno perchè sono tre brani che prendono spunto da uno, un estratto dall’Agnus Dei, della Missa L’Homme Armé di Josquin des Prez.
Il direttore spiega un po’ il lavoro compositivo di Haas accennando al pianoforte il frammento armonico di cui il compositore ha esploso lo spettro armonico per tessere le sue trame. Credo che questo tipo di attività divulgativa e chiarificatoria sia estremamente efficace sul pubblico ma richiede la presenza carismatica e scenica di un direttore intonato all’altezza giusta, come questo Leonhard Garms.
Anton Webern: Quartett op. 22
violino | piano | clarinetto | sassofono |
tenore | |||
Ah Webern! Ah Webern.
Il meccanismo perfetto che può mettere in disordine uno spirito imperfetto. L’oggetto sonoro che si fa ascoltare. La libertà fatta suono. Il suono in tutte le sue sfumature di bellezza.
Un gesto estremamente viennese.
A Webern.
Frank Bedrossian: it
pianoforte | violino | violoncello | contrabbasso | sassofono | clarinetto | flauti |
alto | ottavino | |||||
do | ||||||
sol | ||||||
L’aspettativa. Torna ciclicamente ogni qual volta la coscienza parla prima della musica.
Bedrossian.
L’estate scorsa ho avuto modo di preparare la parte elettronica di Propaganda (quartetto di sassofoni e live electronics). Bedrossian è uno che ti calpesta l’anima. Dalla prima lettura fugace della partitura la mia coscienza si è affezionata a questo nome.
l’ultimo pezzo è anche il nostro pezzo preferito
Il direttore, ho pensato, è un tipo simpatico e dopo la sua affermazione il mio pregiudizio ha montato il suo ego. Leonhard Garms ci spiega il movimento dei saturisti di cui Bedrossian è parte. Ci spiga che è un brano divertente, poi si volta ed intonano, per l’ultima volta questa serata.
Poi è energia allo stato acustico.
Bedrossian si schiera. Ha un manifesto (è un gioco di parole, lo potete capire solo se conoscete i lavori del compositore). Ha uno stile che in pochi anni si è stagliato alto e riconoscibile.
Dominique Jameux scrive a proposito:
Saturation, a musically rich concept, both process and result.
Trovo che questo brano esprima uno stato saturo a più livelli di dinamica. Una sorta di compressione di parametri, gestita, controllata e non sempre al livello massimo di potenza. Proprio questa forza costretta, questa potenza inibita e trattenuta, nel momento in cui è liberata, sconvolge o, quanto meno, impressiona.
Le phénomène saturé dans le domaine de l’acoustique, c’est un excès de matière, d’énergie, de mouvements et de timbre.
[Raphaël Cendo].
Leggo sul sito dell’ensamble che il progetto nasce al termine di un Master di Interpretazione in cui i musicisti e alcuni compositori si sono conosciuti. (È o no questa la potenza della musica?) Un gruppo di musicisti e compositori decide di creare un collettivo che a distanza di qualche anno diventa un Ensemble di primo ordine. E mi viene in mente il nostro Master, quello che il Conservatorio S. Cecila è riuscito, con l’estrema fatica che solo il panorama italiano può offrire, a costituire quest’anno. E penso ai ragazzi che ne fanno parte, tutti musicisti di estrema bravura. E penso
avranno il colpo di schiena per uscire da loro stessi?
Pensieri e Parole.
Pensieri, tanti. Uno su tutti: voglio un Ensemble tutto mio.
Parole, una. Clamoroso.